Se la cooperazione non può isolarsi rispetto ad una economia di mercato che richiede, per vincere la competizione, imprese più grandi, più efficienti, più regolate dalle nuove tecnologie, la cooperazione al tempo stesso non può prescindere da una società che per effetto della economia regolata dal mercato (e non più dallo stato, come in un passato non troppo lontano) produce crescente disuguaglianza sociale, una più estesa anche se sorda conflittualità sociale, più emarginazione e soprattutto più radicale ed diffusa esclusione sociale; tutto ciò non solo nei riguardi dei gruppi sociali più deboli in qualche maniera già noti, ma anche nei confronti di soggetti che progressivamente si indeboliscono nella dinamica selettiva della vita sociale.
Rispetto a tali situazioni, la cooperazione ha nel suo codice genetico un spinta ed una sollecitazione sua propria che le fa assumere un atteggiamento di responsabilità. Guai se non fosse così! Sarebbe un vero e proprio tradimento della matrice ideale e pratica se i cooperatori volgessero lo sguardo solo alle fonti del business!!!
Però non si fa impresa sulla miseria e senza aiutare a rendere autonomi e liberi le persone che oggi sono vittime di tali processi. Partendo da tali persone, dalle loro culture, dalle loro esperienze di vita, la cooperazione se vissuta ed interpretata da queste può rappresentare una risposta, una reazione positiva alla loro condizione. La cooperative hanno capitalizzato un know how in proposito che possono e devono mettere a disposizione primariamente di coloro che si trovano in difficoltà, senza il riconoscimento dei diritti di cittadinanza, spesso anche di esistenza.
In questa direzione, la Fondazione intende aprire piste di lettura e diagnosi delle criticità sociali per far crescere la conoscenza di tali situazioni, per accrescere la sensibilità sociale nei confronti dei soggetti a rischio, per realizzare, quando possibile, la necessaria mobilitazione di cooperatori, volontari, cittadini a sostegno delle persone che diventano sempre più marginali.